sabato 16 giugno 2012

Mobilità professionale in Europa

Funeree previsioni echeggiano ormai da mesi nei media di tutto il Vecchio Continente, commenti sconfortanti ricorrono nei discorsi al mercato rionale di qualsiasi città europea, leader mondiali iniziano il conto alla rovescia: pare che per l'Euro e per l'Unione Europea si sia arrivati al capolinea. Chi si interessa di finanza riesce a leggere meglio la situazione e a districarsi tra i vari Spread, Bund, Index e compagnia. Chi invece non ha avuto la possibilità di seguire almeno due semestri di economia all'università, ha l'impressione che improvvisamente la nostra vita non dipenda più da contatti sociali, lavoro, famiglia e amici, bensì da bilanci, debiti, transazioni, prestiti salva-stati e salva-banche. Il che per certi tratti è vero, visto che viviamo in un sistema capitalistico e la nostra esistenza, che ci piaccia o no, è strettamente legata a fattori economico-finanziari. 
Con questo post vorrei cercare però di introdurre un elemento di riflessione che spesso viene ignorato ogni qual volta si parla della crescita e della ripresa economica in Europa: la mobilità dei lavoratori nella UE.
Gli Stati Uniti d'America sono diventati una potenza mondiale (anche se tuttora in fase di decadenza) per via di diversi fattori concomitanti. Tra i vari ne cito uno: la possibilità dei cittadini americani di spostarsi da una costa all'altra senza grandi difficoltà, per studiare, per lavorare, per costruirsi una carriera migliore. Certo, lasciare la propria città d'origine è spesso doloroso, ma negli USA spostarsi dal Connecticut verso il Vermont non è così "traumatico" come trasferirsi dalla Spagna alla Danimarca. Immaginiamo un laureato di 30 anni, residente a San Francisco, che decida di accettare un nuovo lavoro a Boston. Parlerà la stessa lingua, mangerà lo stesso hamburger che mangiava al Burger King sotto casa, non dovrà acquistare adattatori per le prese elettriche, probabilmente utilizzerà lo stesso provider per l'accesso ad internet con lo smartphone, forse non dovrà neanche cambiare assicurazione sanitaria, guidare non presenterà grosse difficoltà visto che il codice stradale nelle due città sarà lo stesso. A parte la differenza di fuso orario, la vita non sarà poi così difficile per il nostro laureato.
Ora immaginiamo un italiano in Germania: 
- la lingua: grosso ostacolo. In Italia non si insegna il tedesco, se non negli istituti alberghieri. E l'inglese in Germania non è parlato da tutti.
- Burocrazia: assistenza sanitaria, contributi pensionistici, nuovo codice fiscale...vedi relativo post.
- Cibo: non solo è molto diverso da quello italiano, anche le ore dei pasti cambiano radicalmente. E i negozi non fanno la siesta al pomeriggio, quindi la spesa va fatta o il sabato o prima delle 18:00.
- Prese elettriche: la presa a tre punte italiana non serve, qui regna la presa tedesca!
- Clima: 5 mesi di inverno, 5 mesi di autunno, il resto è una primavera pazzariella intervallata da alcuni giorni estivi.
- Sistema scolastico: se l'italiano ha dei figli e vuole iscriverli in un istituto tedesco noterà che vi è una grande differenza tra i due sistemi scolastici (ad esempio, non esiste la scuola media)
Queste sono solo alcune delle principali differenze che scoraggiano la cosiddetta mobilità professionale all'interno dell'Unione (secondo le statistiche noi italiani, manco a dirlo, siamo fanalino di coda in questa speciale classifica). Eppure, se si cerca con attenzione in internet, esistono molti documenti, linee guida, dichiarazioni di intenti elaborati dalle istituzioni comunitarie che esplicitamente identificano in questo fattore la direzione da seguire per rilanciare l'economia stagnante in Europa. Cosa potrebbe succedere se milioni di cittadini europei avessero la possibilità concreta di trasferirsi in un altro stato dell'UE per motivi di lavoro? Attenzione, ho usato intenzionalmente la parola "concreta", ossia: mobilità di lavoratori qualificati, assistenza, anche psicologica, alla persona e alla famiglia (nel caso ci si dovesse spostare con il nucleo familiare), orientamento e supporto, specie per risolvere i problemi burocratici. Per me un'Europa veramente vicina ai cittadini è appunto un'Europa che sia  veramente in grado di offrire questi servizi, anche grazie a figure professionali esperte e presenti nel territorio. Sarebbe inoltre un Europa consapevole delle barriere linguistiche e conseguentemente impegnata a superarle, con programmi comunitari di insegnamento plurilinguistico che inizino dagli anni della scuola materna per proseguire fino all'età adulta. 
Non sono un grande esperto di mercati e di finanza, ma reputo che pompare le banche di liquidità  possa essere una soluzione solo parziale. Nella migliore delle ipotesi questi interventi risolveranno la crisi, ma lo scetticismo da parte dei cittadini  nei confronti del progetto di integrazione europea rimarrà inalterato. Almeno fino a quando italiani, spagnoli, greci, tedeschi ecc. non verranno considerati solo come "consumatori europei", ma anche e soprattutto come "cittadini europei". Europei non si nasce, bensì si "diventa". E per diventarlo, sempre se lo si vuole, occorre viaggiare, spostarsi e vivere all'estero, anche per brevi periodi. A patto che queste siano dell'esperienze stimolanti e costruttive, e non un pericoloso e inutile salto nel buio. 

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