martedì 29 ottobre 2013

Effetti collaterali psico-somatici

Adoro i paesi nordici. Se fosse per me, sposerei una svedese, una qualsiasi, e mi trasferirei nelle alte latitudini. Non so spiegarmi completamente tale infatuazione nei confronti del freddo, visto che il mio corpo nelle zone calde e temperate sta più che bene. Sopporto senza affanni temperature sopra i trenta gradi, in estate raramente sento il bisogno di accendere il climatizzatore e ho corso chilometri sotto il sole di ferragosto. Se nello spirito sono scandinavo, nel corpo sono decisamente mediterraneo, e ogni volta che quest'ultimo (il mio corpo) si trasferisce al di fuori dei confini regionali, se non adirittura comunali, ecco verificarsi una serie di reazioni inaspettate e mai apparse in precedenza. Qui di seguito, un elenco dettagliato di ciò che ho patito in Germania (premetto che a casa, in Italia, godo di una salute di ferro, tant'è che non ho mai dovuto ricorrere all'utilizzo di farmaci):

- gengivite (probabilmente dovuta a stress termico: nel 2012, 13 gradi a luglio in NRW)
- mostruosa reazione cutanea con prurito insopportabile dovuta alla presenza di Milben (acari) nel mio giardino. Le mie gambe si riempivano di chiazze violacee che causavano un fastidio intollerabile
- febbre a ferragosto
- depressione, dovuta a carenza di esposizione alla luce solare, causa anche di pallore cronico
- problemi psichici: durante una passeggiata pei boschi, mi viene da intonare l'inno di Mameli
- squilibri ormonali: vari allupamenti e tentazione di registrarsi ai siti come Meetic
- riflusso gastro-esofageo, causato dal cambio traumatico dell'ora dei pasti 
- forfora

Concludendo questo articolo in maniera più seria, vorrei avvertire gli italiani, specie quelli che sono nati e cresciuti nelle assolate terre del Meridione, che il clima e lo stile di vita tedesco possono essere la causa di reazioni insospettate, sia nel corpo che nella mente. Con l'esperienza ho imparato a gestire meglio le varie situazioni. Ad esempio, nella mia ultima permanenza in Germania ho stabilito la regola ferrea di cucinare sempre a casa e non mangiare mai cibo spazzatura fuori, rispettando il più possibile gli orari e le componenti nutrizionali mediterranee, anche se questo non è bastato ad evitare di patire inspiegabili patologie mai avvertite in Italia. Ad ogni modo, non scoraggiatevi: per sopperire ai vari problemi che potrebbero verificarsi lassù al nord, ricordatevi sempre che il sistema sanitario tedesco è di ottima qualità!

lunedì 3 giugno 2013

Pubblicità? No, grazie!

Da quando ho installato un contatore di pagine, noto che questo blog viene frequentato da un numero crescente di internauti, e ciò non può che farmi piacere. Suppongo che le visite debbano essere ricondotte al fenomeno della disoccupazione e della ricerca di opportunità di lavoro all'estero, tendenze entrambe in aumento nel nostro paese. Il tema è di scottante attualità, tant'è che recentemente ho utilizzato il blog come materiale didattico in uno dei miei seminari con giovani partecipanti europei, al fine di contestualizzare l'argomento della mobilità professionale in Europa. 

Come spesso accade in questi casi, la costante crescita di visitatori si materializza nella tentazione di farcire il prodotto con annunci pubblicitari per ottenere un guadagno mensile, seppur esiguo. Rassicuro i miei lettori: Back to Germania non sarà mai colonizzato da banners, ads o simili! Qui di seguito illustro le ragioni della mia scelta:
- La pubblicità sui blog non è di mio gradimento, in quanto tengo parecchio alla qualità estetica delle pagine (prediligo la semplicità teutonica ai fronzoli) e i vari annunci pubblicitari tendono a "spezzare" la pagina, interrompono la continuità della lettura e distraggono dai contenuti.
- Esistono molti blog che trattano temi simili a questo (lavoro & Germania) e noto che tutti sono caratterizzati dalla presenza di pubblicità, alcuni in maniera esagerata. Mi viene da pensare che il fine principale degli articoli non sia informare i lettori con serietà e dedizione, ma semplicemente attirare visitatori, sfruttando l'attualità degli argomenti, al fine di guadagnare dalle inserzioni. In uno dei blog in questione, ovviamente saturo di annunci, l'autore stilava una opinabile "top ten" delle ragioni per cui non sarebbe consigliabile trasferirsi in Germania, annoverando tra le prime posizioni la scarsa qualità dell'espresso tedesco. L'articolo veniva commentato da dozzine di entusiasti. Sinceramente, preferisco l'anonimato alla banalità.
- Ovviamente quello che scrivo su questo blog non ha la pretesa di corrispondere all'assoluta verità. Ho pubblicato i miei articoli per condividere le mie esperienze, con l'idea di poter offrire delle indicazioni a chi volesse intraprendere percorsi simili ai miei. Le risposte dei visitatori sono andate oltre le mie aspettative e il loro contributo è stato utile per aggiornare gli articoli, specie quelli inerenti le pratiche burocratiche.
- Non credo che la mia scelta di evitare gli annunci pubblicitari mi faccia rinunciare a chissà quale somma. In ogni caso, mi piace pensare alle parole di Pierre Ceresole, fondatore del Servizio Civile Internazionale: "Non fidatevi dei soldi perchè portano ad uccidere". Ritenete questo concetto troppo sbilanciato? Facciamo allora un esempio: immaginiamo di dare l'autorizzazione all'inserzione di annunci su questo blog; il giorno dopo appare la pubblicità di una nota marca di calzature sportive prodotte in Bangladesh, in quelle fabbriche dove centinaia di lavoratori, la maggior parte donne e minorenni, perdono la vita a causa delle disastrose condizioni lavorative. Sebbene indirettamente, la volontà di poter guadagnare dalla pubblicità mi rende complice della morte di quelle persone. 

Ecco quindi spiegato il motivo per cui mi rifiuto e sempre mi rifiuterò di inquinare il mio blog (che è anche il vostro e nostro blog) con prodotti pubblicitari. Quando intenderò pubblicizzare qualcosa degno di essere promosso, lo farò direttamente con un articolo, la cui lettura sarà la conseguenza di una libera scelta dei visitatori. Per ora, godetevi questo umile spazio libero senza interruzioni commerciali. 

martedì 5 febbraio 2013

La profezia di Bastasin

Nell'autunno del 2001 mi trovavo all'interno di un grigio box di un metro per un metro e dalla temperatura al limite della sopportazione umana, dovuta al calore prodotto da due vetuste fotocopiatrici sempre in funzione. All'esterno, studenti svogliati aspettavano in fila il loro turno per farsi fotocopiare i testi presi in prestito. Sebbene avessi appena conseguito una laurea in scienze dell'educazione e avessi espressamente richiesto di adoperarmi nel settore sociale (Caritas, comunità, scuole), mi fu assegnato l'incarico di assistente alla biblioteca universitaria (leggasi: ragazzo delle fotocopie) in qualità di obiettore di coscienza. Il 2001 è stato l'ultimo anno prima dell'abolizione del servizio militare obbligatorio in Italia, ma le scelte su destinazione e incarichi assegnati agli obiettori erano ancora di competenza dell'esercito, che vedeva bene di “punire” i sedicenti pacifisti assegnandoli a mansioni il più possibile incompatibili con le indicazioni espresse al momento della registrazione. C'era ovviamente la possibilità di presentare una nuova domanda, ma per evitare equivoci mi si addusse l'esempio di una “testa calda” allontanata appositamente in quel di Pordenone. A buon intenditor, poche parole. Va da sé che i miei 10 mesi andarono semplicemente sprecati, non solo per me, ma anche per il supporto che, da operatore qualificato, avrei potuto offrire alla mia comunità di appartenenza. 

Dopo questa premessa, la crescente allergia che andavo sviluppando nei confronti del Belpaese è più che comprensibile.  Unico sollievo alla “naia” era la possibilità di accedere senza limiti ai volumi della biblioteca. Già allora progettavo piani di fuga e la destinazione prescelta era la Germania, per ragioni inizialmente sentimentali, che nascondevano però un interesse speciale per quella terra così diversa dalle nostre coste mediterranee. L'attrazione e il fascino che provavo mentre leggevo le edizioni degli anni '70 dello “Spiegel”, nel tentativo di migliorare affannosamente la comprensione della lingua, cresceva in maniera proporzionale alla mia determinazione di lasciare l'Italia. Nei momenti di distrazione della direttrice sgattaiolavo dal pestifero box e raggiungevo a passo svelto la facoltà di lingue, dove seguivo tre corsi di tedesco (base, medio e conversazione). La frustrazione della mia condizione alimentava energie insospettate.  Durante un periodo di calma piatta, aggirandomi tra la penombra di un sabato mattina, individuai tra i polverosi scaffali un libro il cui titolo mi saltò subito agli occhi: “Alexanderplatz – Da Berlino all'Europa tedesca”. Si trattava di un volume scritto cinque anni prima (e quindi nel 1996) da Carlo Bastasin, economista e giornalista de "La Stampa" e de "Il Sole 24 Ore" . Divorai il libro in meno di tre giorni e ricordo che rimasi colpito dalla acutezza delle osservazioni dell'autore sulla società tedesca. All'epoca avevo visitato la Germania solo un paio di volte e per periodi non più lunghi di una settimana e, pur apprezzando il libro, non potevo giudicarne l'attendibilità.  

A distanza di dodici anni, e dopo aver trascorso degli anni in terra tedesca, ho deciso di riprendere in mano il volume, acquistato per l'occasione su internet di seconda mano, guarda caso proprio da un torinese ("La Stampa" è il giornale di Torino). Se leggere è piacevole, rileggere lo è ancora di più, soprattutto se ciò che abbiamo tra le mani è un prodotto di qualità. Le rilettura di “Alexanderplatz” dopo più di una decade di esperienze dirette si è rivelata, se possibile, ancora più affascinante della lettura durante gli anni della “prigionia”. E in più posso confermare la bontà delle riflessioni e conclusioni di Bastasin.  Il libro tratta argomenti ancora sorprendentemente attuali: l'integrazione tra Germania est ed ovest dopo la caduta del muro, l'impatto delle politiche sociali tedesche, le loro prospettive future, il ruolo della Germania nella politica non solo monetaria dell'Unione. Tra le molteplici sollecitazioni contenute nelle 233 pagine del libro, la seguente mi ha impressionato in modo particolare:

“quanto può durare […] la solidarietà tra paesi diversi come quella richiesta dal progetto europeo? La risposta è semplice: fino alla prossima recessione, fino alla prossima crisi che taglierà la linea di galleggiamento di una barca troppo affollata e velocemente assortita per essere già unita e solidale”

Mi piace evidenziare queste parole (scritte nel 1996) e considerarle come “la profezia di Bastasin”, anche se probabilmente in quel periodo l'inviato in Germania de "Il Sole 24 Ore" non era l'unico a sottolineare l'urgenza circa riflessioni più approfondite in merito al processo di integrazione europea. L'Unione Europea è attualmente un facile bersaglio, che catalizza critiche, malumori e crescenti sentimenti di disaffezione e disillusione. Sebbene la maggior parte di questo malcontento sia giustificata e comprensibile, non va però dimenticato che l'architettura delle istituzioni comunitarie è ed è stata un prodotto della volontà preponderante degli stati membri, al fine di tutelare gli interessi nazionali. Non è un caso che il potere principale è ancora detenuto dal Consiglio dei Ministri dell'Unione Europea (e quindi dai governi), nonostante il trattato di Lisbona abbia esteso il principio di co-decisione del Parlamento Europeo a quasi tutto il processo legislativo comunitario. Quando tendo ad essere troppo euro-scettico, euro-depresso o euro-catastrofista, ora tendo a morsicarmi la lingua a e pensare due volte prima di parlare; perchè, allo stesso tempo, provo anche una gran rabbia quando sento o leggo le dichiarazioni dei rappresentanti dei governi (non solo quello italiano, sul quale sono ovviamente più informato) che accusano “l'Europa” (identificandola grossolanamente con l'UE, che conta invece 28 stati su 50 esistenti nel vecchio continente) per i peccati da loro commessi, con lo scopo di estraniarsi da una situazione che loro stessi hanno contribuito a creare.

Nella sua lucida analisi risalente a quasi venti anni fa, Carlo Bastasin sottolineava come il progetto di integrazione europea non si sarebbe potuto basare solo su direttrici di natura economica e finanziaria, come se lo sviluppo della solidarietà sociale fosse un risultato di strategici “spill-overs”. Occorreva e occorre tuttora un ripensamento non solo della già menzionata architettura istituzionale comunitaria, ma anche delle sua fondamenta sociali e culturali, in una parola: umane. Sempre che non sia troppo tardi. La lettura di “Alexanderplatz”, per chi voglia comprendere più a fondo la questione qui solo brevemente dibattuta, è più che consigliata.
PS: se sta leggendo questo articolo, saluto cordialmente Carlo Bastasin (gradito frequentatore di questo blog).