venerdì 14 novembre 2014

Informazione per i lettori

Gentili lettori del blog "Back to Germania",

anzitutto vi porgo le mie scuse per non avere fornito risposte alle domande che mi sono giunte negli ultimi mesi. Approfitto di questo articolo per risolvere un equivoco che ha generato numerose aspettative tra chi si trova ora all'estero.
La mie esperienza di lavoro in Germania è terminata nel mese di luglio 2012, quindi più di due anni fa; di conseguenza, è possibile che le informazioni che trovate nell'articolo sui passi burocratici non siano più attuali. Vi informo inoltre che tuttora mi trovo in Italia, quindi non sono in grado di apportare modifiche attendibili a ciò che ho scritto allora. Ultimo ma non meno importante, la mia esperienza di lavoro era nel settore educativo, quindi non posso fornire maggiori delucidazioni per chi lavora in altri settori.
Alla luce di tutto ciò, vi informo che non potrò più rispondere alle domande pervenute e a quelle future. Invito comunque i lettori ad utilizzare l'articolo e tutto il blog come una piattaforma per scambiare opinioni ed informazioni più aggiornate, con la consapevolezza che io non potrò più intervenire in merito.

Concludo con un suggerimento per chi si vuole trasferire in Germania per lavoro. Dopo aver letto centinaia di commenti, sono ancora più convinto che, prima di recarsi in terra tedesca, una certa preparazione linguistica e culturale sia consigliabile. Io ho iniziato lavorando come volontario e assistente presso organizzazioni no-profit in Germania, e questo mi ha aiutato parecchio. Inoltre, prima di partire, ho studiato la lingua per 6 mesi e ho cercato di informarmi il più possibile su storia e cultura tedesca. Questo è il mio modesto consiglio (vi consiglierei anche di evitare i datori di lavoro italiani in Germania, soprattutto dopo aver letto alcuni commenti dei lettori di questo blog). Per il resto, viel Glück!

Vostro,
Dr.Egg

mercoledì 5 febbraio 2014

Perchè da noi sì e da loro no

A costo di apparire populista, vorrei dedicare questo articolo al recente caso dell'ex-presidente del principale ente previdenziale italiano, il quale, dopo garbati solleciti da più direzioni, ha ritenuto opportuno dimettersi dalla più importante delle ventidue cariche da lui detenute. Ciò che più mi ha impressionato della vicenda, simbolo del cronico poltronismo italiano, è il fatto che il personaggio in questione abbia ammesso di aver ottenuto la laurea accademica con l'inganno, grazie ad un malaffare orchestrato con la complicità di un bidello (sic). Malgrado questa macchia, che ha avuto anche ripercussioni giudiziarie, si ritiene tuttora degno di ricoprire le rimanenti 21 cariche, molte delle quali pubbliche.
Mi chiedo: perchè nessuno reagisce? É inevitabile effettuare paragoni con ciò che ho visto in Germania. Prendiamo ad esempio il caso Karl-Theodor zu Guttenberg, stella nascente della CDU e potenziale futuro premier, che nel 2011 si è dimesso da Ministro della Difesa per aver copiato alcune parti della sua tesi di laurea. Le sue dimissioni sono giunte dopo pressioni esercitate ovviamente dall'opposizione e dalla stampa, ma soprattutto dall'interno del sistema. Il messaggio che si è voluto veicolare è questo: le regole, in quanto tali, vanno rispettate, indipendentemente da chi le infrange. E tra le righe, altri due messaggi: 1) noi tedeschi non siamo così tolleranti come i mediterranei; 2) se non lo facciamo noi (politici), ci pensano i cittadini ed è molto peggio (per noi).
La corruzione e il carrierismo esistono anche in Germania, sarebbe da ipocriti negarlo. Eppure si cerca di limitarli, e quando questo accade è importante dare visibilità al fenomeno, al fine di dimostrare che il sistema non è marcio ed è ancora degno di credibilità.

Ma torniamo al caso italiano. Io ho ottenuto una laurea anni fa. Non me ne vanto, non l'ho incorniciata e appesa al muro, non faccio sapere al prossimo che mi è costata sacrifici e rinunce (non sarebbe vero: mi piace studiare ed imparare e se potessi studierei per il resto dei miei giorni). Ora la tengo nel cassetto, a volte l'ho persino usata per ragioni professionali. Punto.
Ciò che mi sconcerta nel caso dell'ex-presidente dell'INPS è il fatto che abbia barato. Non mi interessa che poi con quella laurea abbia fatto carriera. Mi infastidisce che non abbia rispettato le regole del gioco. Ho giocato molti anni a basket nella squadra universitaria. Perdevamo sempre (non ricordo di aver vinto neanche una partita), e non era piacevole, ma devo ammettere che non riuscivamo a vincere semplicemente perchè le altre squadre erano più forti. Nessun dramma, poi si andava a mangiare una pizza in compagnia. La sconfitta si può tollerare, ma quello che risulta inaccettabile è assistere all'infrazione sistematica delle regole, senza che vi sia alcuna sanzione. Posso perdere anche con uno scarto di 100 punti, ma non accetto che il mio avversario, invece di palleggiare, prenda a calci il pallone davanti ad un arbitro che non ha niente da obiettare. Ancora più inaccettabile è il fatto che il giocatore in questione, dopo aver commesso svariate infrazioni, invece di essere sanzionato con un fallo antisportivo, venga eletto giocatore dell'anno e riceva ingaggi milionari.

Cerco di capire: come mai in Italia non si verifica una sollevazione popolare di fronte a queste vicende? Provo a darmi una risposta: forse perchè facciamo anche noi parte del sistema di collusioni e clientelismo. Mi spiego meglio. Le società del nord Europa sono caratterizzate da individualismo, quelle del sud da familismo (quella italiana da familismo amorale). Per individualismo non si intende la connotazione morale del termine (egoismo), ma quella prettamente sociologica (individualizzazione della società e dei servizi: a Berlino il 50% dei cittadini è single).
Apro un giornale locale in Germania e trovo numerose offerte di lavoro nelle pagine degli annunci. Altrettante le trovo in internet, o nelle bacheche universitarie. Alcune richiedono delle referenze e abilità speciali. Benvenuti nel sistema meritocratico.
In Italia, nel mio quotidiano locale, la pagina dei necrologi è densa di inserzioni, ma di annunci di lavoro neanche l'ombra. Consulto internet e non trovo un granchè. L'informagiovani non mi aiuta più di tanto. A chi posso rivolgermi se voglio lavorare? Alla famiglia, o alle “conoscenze”. In questo caso merito e competenze non sono tanto importanti. Quello che conta è affiliarsi, mostrare riconoscenza, restituire favori. La conseguenza di questo sistema è che sarà poi difficile “alzare la testa”, una volta diventati ingranaggio di questi meccanismi. Non si può esigere il rispetto delle regole, quando si è costretti ad infrangerle. Ed è proprio questo che smorza qualsiasi tentativo di ribellione. Non è simpatico additare un colpevole, quando abbiamo un armadio pieno di scheletri.

Che fare allora? Non credo agli slogan “yes, we can” o “cambiare si può”. Un individuo, anche se motivato, ha un potere infinitamente inferiore rispetto a radicate forze sociali (nel nostro caso, il familismo amorale, leggasi: clientelismo diffuso e capillare). Più che cambiare le cose, sarebbe più idoneo concentrarsi su un'altra strategia: fare in modo che le cose cambino. Nel caso italiano, una strategia potenzialmente efficace consiste nel creare occupazione che richieda una tipologia di competenze specifiche (competenze linguistiche, informatiche, progettuali, capacità di viaggiare e coordinare gruppi). Lavoro nel settore interculturale e mi occupo di progetti finanziati dalle istituzioni europee. I tanti ragazzi che incontro in questo settore parlano diverse lingue straniere, viaggiano per aggiornarsi e creare nuove reti di lavoro, hanno familiarità con i social network e le nuove tecnologie, hanno idee brillanti che traducono in proposte progettuali, per le quali è necessario fare fund raisinig. Sarebbe veramente ridicolo se un consumato politico a fine carriera bussasse alla porta di una delle numerose associazioni create da questi giovani per “raccomandare” il nipote disoccupato (troglodita informatico, mono-glotta, più interessato a vestire alla moda che ad imparare a viaggiare da solo). Se si lavora con le nuove tecnologie, la mobilità internazionale, la formazione continua si ha la necessità di avvalersi di competenze che possono solo essere acquisite sul campo, con merito, entusiasmo, passione, conoscenza. É una strategia per spezzare le catene del clientelismo e tornare ad essere “lavoratori liberi". Perchè continuare a camminare a testa bassa, oltre ad essere umiliante, non ci permette di capire quanto sia bello il cielo.

giovedì 30 gennaio 2014

Mini-jobs

Poichè ricevo molte domande sui mini-jobs (alle quali purtroppo non posso fornire valide risposte, ma solo suggerimenti, visto che non ho mai lavorato con un contratto simile), pubblico in questo post un link ad un interessante articolo che ho trovato su internet:


Non mi trova pienamente d'accordo (si tratta di un'indagine spagnola sul sistema tedesco, sarebbe meglio sentire il parere dei tedeschi stessi sul tema) ma offre degli spunti di riflessione interessanti.
Da ciò che ho avuto modo di vedere, non me la sento di "maledire" i mini-jobs. La società tedesca mette a disposizione dei percorsi di formazione ed inserimento lavorativo piuttosto efficienti. Chi intende lavorare, far carriera, guadagnare, ha la libertà di mettersi alla prova e raggiungere questi obiettivi. Personalmente non ritengo che carriera, successo e super-lavoro siano valori ai quali dare priorità nella vita (nel futuro gli alieni, sbarcando sulla Terra, rideranno a crepapelle quando leggeranno astrusità come "repubblica fondata sul lavoro" o "il lavoro nobilita l'uomo", ma questa è un'altra storia). 
Reputo sia legittimo criticare, meglio se costruttivamente, il sistema dei mini-jobs (vedi relativo post sulla riforma del mercato del lavoro); tuttavia, come molti sottolineano, è meglio avere la possibilità di portare a casa mensilmente 450 euro che niente. Se poi questo sistema sta veramente creando il rischio di incrementare la povertà e il precariato, questo non so dirlo. Però penso spesso ad un mio amico marocchino, che nell'arco di dieci anni in Germania ha imparato la lingua tedesca, ha studiato all'università (e nel frattempo ha lavorato part-time per finanziare gli studi), ha svolto un tirocinio presso la radio-televisione pubblica tedesca ed è ora un giornalista, vive tra Bonn e Berlino e guadagna 4000 euro al mese, permettendosi un bell'appartamento con vista su Alexanderplatz. Ripeto: marocchino. Con o senza mini-jobs, vi invito a trovare casi simili in Italia. Evidentemente il sistema tedesco funziona. O sono le persone che lo fanno funzionare?

martedì 29 ottobre 2013

Effetti collaterali psico-somatici

Adoro i paesi nordici. Se fosse per me, sposerei una svedese, una qualsiasi, e mi trasferirei nelle alte latitudini. Non so spiegarmi completamente tale infatuazione nei confronti del freddo, visto che il mio corpo nelle zone calde e temperate sta più che bene. Sopporto senza affanni temperature sopra i trenta gradi, in estate raramente sento il bisogno di accendere il climatizzatore e ho corso chilometri sotto il sole di ferragosto. Se nello spirito sono scandinavo, nel corpo sono decisamente mediterraneo, e ogni volta che quest'ultimo (il mio corpo) si trasferisce al di fuori dei confini regionali, se non adirittura comunali, ecco verificarsi una serie di reazioni inaspettate e mai apparse in precedenza. Qui di seguito, un elenco dettagliato di ciò che ho patito in Germania (premetto che a casa, in Italia, godo di una salute di ferro, tant'è che non ho mai dovuto ricorrere all'utilizzo di farmaci):

- gengivite (probabilmente dovuta a stress termico: nel 2012, 13 gradi a luglio in NRW)
- mostruosa reazione cutanea con prurito insopportabile dovuta alla presenza di Milben (acari) nel mio giardino. Le mie gambe si riempivano di chiazze violacee che causavano un fastidio intollerabile
- febbre a ferragosto
- depressione, dovuta a carenza di esposizione alla luce solare, causa anche di pallore cronico
- problemi psichici: durante una passeggiata pei boschi, mi viene da intonare l'inno di Mameli
- squilibri ormonali: vari allupamenti e tentazione di registrarsi ai siti come Meetic
- riflusso gastro-esofageo, causato dal cambio traumatico dell'ora dei pasti 
- forfora

Concludendo questo articolo in maniera più seria, vorrei avvertire gli italiani, specie quelli che sono nati e cresciuti nelle assolate terre del Meridione, che il clima e lo stile di vita tedesco possono essere la causa di reazioni insospettate, sia nel corpo che nella mente. Con l'esperienza ho imparato a gestire meglio le varie situazioni. Ad esempio, nella mia ultima permanenza in Germania ho stabilito la regola ferrea di cucinare sempre a casa e non mangiare mai cibo spazzatura fuori, rispettando il più possibile gli orari e le componenti nutrizionali mediterranee, anche se questo non è bastato ad evitare di patire inspiegabili patologie mai avvertite in Italia. Ad ogni modo, non scoraggiatevi: per sopperire ai vari problemi che potrebbero verificarsi lassù al nord, ricordatevi sempre che il sistema sanitario tedesco è di ottima qualità!

lunedì 3 giugno 2013

Pubblicità? No, grazie!

Da quando ho installato un contatore di pagine, noto che questo blog viene frequentato da un numero crescente di internauti, e ciò non può che farmi piacere. Suppongo che le visite debbano essere ricondotte al fenomeno della disoccupazione e della ricerca di opportunità di lavoro all'estero, tendenze entrambe in aumento nel nostro paese. Il tema è di scottante attualità, tant'è che recentemente ho utilizzato il blog come materiale didattico in uno dei miei seminari con giovani partecipanti europei, al fine di contestualizzare l'argomento della mobilità professionale in Europa. 

Come spesso accade in questi casi, la costante crescita di visitatori si materializza nella tentazione di farcire il prodotto con annunci pubblicitari per ottenere un guadagno mensile, seppur esiguo. Rassicuro i miei lettori: Back to Germania non sarà mai colonizzato da banners, ads o simili! Qui di seguito illustro le ragioni della mia scelta:
- La pubblicità sui blog non è di mio gradimento, in quanto tengo parecchio alla qualità estetica delle pagine (prediligo la semplicità teutonica ai fronzoli) e i vari annunci pubblicitari tendono a "spezzare" la pagina, interrompono la continuità della lettura e distraggono dai contenuti.
- Esistono molti blog che trattano temi simili a questo (lavoro & Germania) e noto che tutti sono caratterizzati dalla presenza di pubblicità, alcuni in maniera esagerata. Mi viene da pensare che il fine principale degli articoli non sia informare i lettori con serietà e dedizione, ma semplicemente attirare visitatori, sfruttando l'attualità degli argomenti, al fine di guadagnare dalle inserzioni. In uno dei blog in questione, ovviamente saturo di annunci, l'autore stilava una opinabile "top ten" delle ragioni per cui non sarebbe consigliabile trasferirsi in Germania, annoverando tra le prime posizioni la scarsa qualità dell'espresso tedesco. L'articolo veniva commentato da dozzine di entusiasti. Sinceramente, preferisco l'anonimato alla banalità.
- Ovviamente quello che scrivo su questo blog non ha la pretesa di corrispondere all'assoluta verità. Ho pubblicato i miei articoli per condividere le mie esperienze, con l'idea di poter offrire delle indicazioni a chi volesse intraprendere percorsi simili ai miei. Le risposte dei visitatori sono andate oltre le mie aspettative e il loro contributo è stato utile per aggiornare gli articoli, specie quelli inerenti le pratiche burocratiche.
- Non credo che la mia scelta di evitare gli annunci pubblicitari mi faccia rinunciare a chissà quale somma. In ogni caso, mi piace pensare alle parole di Pierre Ceresole, fondatore del Servizio Civile Internazionale: "Non fidatevi dei soldi perchè portano ad uccidere". Ritenete questo concetto troppo sbilanciato? Facciamo allora un esempio: immaginiamo di dare l'autorizzazione all'inserzione di annunci su questo blog; il giorno dopo appare la pubblicità di una nota marca di calzature sportive prodotte in Bangladesh, in quelle fabbriche dove centinaia di lavoratori, la maggior parte donne e minorenni, perdono la vita a causa delle disastrose condizioni lavorative. Sebbene indirettamente, la volontà di poter guadagnare dalla pubblicità mi rende complice della morte di quelle persone. 

Ecco quindi spiegato il motivo per cui mi rifiuto e sempre mi rifiuterò di inquinare il mio blog (che è anche il vostro e nostro blog) con prodotti pubblicitari. Quando intenderò pubblicizzare qualcosa degno di essere promosso, lo farò direttamente con un articolo, la cui lettura sarà la conseguenza di una libera scelta dei visitatori. Per ora, godetevi questo umile spazio libero senza interruzioni commerciali. 

martedì 5 febbraio 2013

La profezia di Bastasin

Nell'autunno del 2001 mi trovavo all'interno di un grigio box di un metro per un metro e dalla temperatura al limite della sopportazione umana, dovuta al calore prodotto da due vetuste fotocopiatrici sempre in funzione. All'esterno, studenti svogliati aspettavano in fila il loro turno per farsi fotocopiare i testi presi in prestito. Sebbene avessi appena conseguito una laurea in scienze dell'educazione e avessi espressamente richiesto di adoperarmi nel settore sociale (Caritas, comunità, scuole), mi fu assegnato l'incarico di assistente alla biblioteca universitaria (leggasi: ragazzo delle fotocopie) in qualità di obiettore di coscienza. Il 2001 è stato l'ultimo anno prima dell'abolizione del servizio militare obbligatorio in Italia, ma le scelte su destinazione e incarichi assegnati agli obiettori erano ancora di competenza dell'esercito, che vedeva bene di “punire” i sedicenti pacifisti assegnandoli a mansioni il più possibile incompatibili con le indicazioni espresse al momento della registrazione. C'era ovviamente la possibilità di presentare una nuova domanda, ma per evitare equivoci mi si addusse l'esempio di una “testa calda” allontanata appositamente in quel di Pordenone. A buon intenditor, poche parole. Va da sé che i miei 10 mesi andarono semplicemente sprecati, non solo per me, ma anche per il supporto che, da operatore qualificato, avrei potuto offrire alla mia comunità di appartenenza. 

Dopo questa premessa, la crescente allergia che andavo sviluppando nei confronti del Belpaese è più che comprensibile.  Unico sollievo alla “naia” era la possibilità di accedere senza limiti ai volumi della biblioteca. Già allora progettavo piani di fuga e la destinazione prescelta era la Germania, per ragioni inizialmente sentimentali, che nascondevano però un interesse speciale per quella terra così diversa dalle nostre coste mediterranee. L'attrazione e il fascino che provavo mentre leggevo le edizioni degli anni '70 dello “Spiegel”, nel tentativo di migliorare affannosamente la comprensione della lingua, cresceva in maniera proporzionale alla mia determinazione di lasciare l'Italia. Nei momenti di distrazione della direttrice sgattaiolavo dal pestifero box e raggiungevo a passo svelto la facoltà di lingue, dove seguivo tre corsi di tedesco (base, medio e conversazione). La frustrazione della mia condizione alimentava energie insospettate.  Durante un periodo di calma piatta, aggirandomi tra la penombra di un sabato mattina, individuai tra i polverosi scaffali un libro il cui titolo mi saltò subito agli occhi: “Alexanderplatz – Da Berlino all'Europa tedesca”. Si trattava di un volume scritto cinque anni prima (e quindi nel 1996) da Carlo Bastasin, economista e giornalista de "La Stampa" e de "Il Sole 24 Ore" . Divorai il libro in meno di tre giorni e ricordo che rimasi colpito dalla acutezza delle osservazioni dell'autore sulla società tedesca. All'epoca avevo visitato la Germania solo un paio di volte e per periodi non più lunghi di una settimana e, pur apprezzando il libro, non potevo giudicarne l'attendibilità.  

A distanza di dodici anni, e dopo aver trascorso degli anni in terra tedesca, ho deciso di riprendere in mano il volume, acquistato per l'occasione su internet di seconda mano, guarda caso proprio da un torinese ("La Stampa" è il giornale di Torino). Se leggere è piacevole, rileggere lo è ancora di più, soprattutto se ciò che abbiamo tra le mani è un prodotto di qualità. Le rilettura di “Alexanderplatz” dopo più di una decade di esperienze dirette si è rivelata, se possibile, ancora più affascinante della lettura durante gli anni della “prigionia”. E in più posso confermare la bontà delle riflessioni e conclusioni di Bastasin.  Il libro tratta argomenti ancora sorprendentemente attuali: l'integrazione tra Germania est ed ovest dopo la caduta del muro, l'impatto delle politiche sociali tedesche, le loro prospettive future, il ruolo della Germania nella politica non solo monetaria dell'Unione. Tra le molteplici sollecitazioni contenute nelle 233 pagine del libro, la seguente mi ha impressionato in modo particolare:

“quanto può durare […] la solidarietà tra paesi diversi come quella richiesta dal progetto europeo? La risposta è semplice: fino alla prossima recessione, fino alla prossima crisi che taglierà la linea di galleggiamento di una barca troppo affollata e velocemente assortita per essere già unita e solidale”

Mi piace evidenziare queste parole (scritte nel 1996) e considerarle come “la profezia di Bastasin”, anche se probabilmente in quel periodo l'inviato in Germania de "Il Sole 24 Ore" non era l'unico a sottolineare l'urgenza circa riflessioni più approfondite in merito al processo di integrazione europea. L'Unione Europea è attualmente un facile bersaglio, che catalizza critiche, malumori e crescenti sentimenti di disaffezione e disillusione. Sebbene la maggior parte di questo malcontento sia giustificata e comprensibile, non va però dimenticato che l'architettura delle istituzioni comunitarie è ed è stata un prodotto della volontà preponderante degli stati membri, al fine di tutelare gli interessi nazionali. Non è un caso che il potere principale è ancora detenuto dal Consiglio dei Ministri dell'Unione Europea (e quindi dai governi), nonostante il trattato di Lisbona abbia esteso il principio di co-decisione del Parlamento Europeo a quasi tutto il processo legislativo comunitario. Quando tendo ad essere troppo euro-scettico, euro-depresso o euro-catastrofista, ora tendo a morsicarmi la lingua a e pensare due volte prima di parlare; perchè, allo stesso tempo, provo anche una gran rabbia quando sento o leggo le dichiarazioni dei rappresentanti dei governi (non solo quello italiano, sul quale sono ovviamente più informato) che accusano “l'Europa” (identificandola grossolanamente con l'UE, che conta invece 28 stati su 50 esistenti nel vecchio continente) per i peccati da loro commessi, con lo scopo di estraniarsi da una situazione che loro stessi hanno contribuito a creare.

Nella sua lucida analisi risalente a quasi venti anni fa, Carlo Bastasin sottolineava come il progetto di integrazione europea non si sarebbe potuto basare solo su direttrici di natura economica e finanziaria, come se lo sviluppo della solidarietà sociale fosse un risultato di strategici “spill-overs”. Occorreva e occorre tuttora un ripensamento non solo della già menzionata architettura istituzionale comunitaria, ma anche delle sua fondamenta sociali e culturali, in una parola: umane. Sempre che non sia troppo tardi. La lettura di “Alexanderplatz”, per chi voglia comprendere più a fondo la questione qui solo brevemente dibattuta, è più che consigliata.
PS: se sta leggendo questo articolo, saluto cordialmente Carlo Bastasin (gradito frequentatore di questo blog).

mercoledì 10 ottobre 2012

Educazione non formale e strutture ricettive

Aggiungo un post dopo diverse settimane per commentare una mia breve permanenza in Germania tra i mesi di settembre e ottobre. Purtroppo ho trovato lo stesso tempaccio di quando sono partito a luglio (vento freddo e pioggia) però questa volta l'esperienza culinaria è stata più che positiva e ho avuto la possibilità di visitare Brema (dove non vi ero mai stato) e rivedere Amburgo (già visitata nel lontano 2004: spaziale!).
Ho coordinato un corso di formazione internazionale per ragazzi europei finanziato dall'Unione Europea presso un piccolo paese del Niedersachsen. Il nostro alloggio era un centro polivalente estremamente funzionale e ben curato, con stanze per i partecipanti, sala riunioni con equipaggiamento (proiettore con schermo, casse, musica, materiale per seminari), due cuoche a nostra disposizione e molta tranquillità. Il corso è stato un successo e tutti i partecipanti hanno apprezzato l'accoglienza del luogo. Non è raro trovare questo tipo di strutture in Germania, anche nei paesi più piccoli e sperduti. Purtroppo in Italia non si è ancora sviluppata una sensibilità verso questo tipo di centri, e risulta quindi molto complicato ospitare gruppi, specie se internazionali, in strutture ricettive adeguate. Tutto ciò rispecchia anche la differente mentalità relativa all'educazione non formale nel nostro paese: sembra che si possa imparare solo in luoghi "istituzionali" (scuola, università, chiesa), mentre l'approccio extra-scolastico ancora deve farsi strada in quanto poco riconosciuto o poco valorizzato. E questo è un grande peccato, perchè limita le possibilità di crescita e relazione dei nostri giovani.