venerdì 14 novembre 2014

Informazione per i lettori

Gentili lettori del blog "Back to Germania",

anzitutto vi porgo le mie scuse per non avere fornito risposte alle domande che mi sono giunte negli ultimi mesi. Approfitto di questo articolo per risolvere un equivoco che ha generato numerose aspettative tra chi si trova ora all'estero.
La mie esperienza di lavoro in Germania è terminata nel mese di luglio 2012, quindi più di due anni fa; di conseguenza, è possibile che le informazioni che trovate nell'articolo sui passi burocratici non siano più attuali. Vi informo inoltre che tuttora mi trovo in Italia, quindi non sono in grado di apportare modifiche attendibili a ciò che ho scritto allora. Ultimo ma non meno importante, la mia esperienza di lavoro era nel settore educativo, quindi non posso fornire maggiori delucidazioni per chi lavora in altri settori.
Alla luce di tutto ciò, vi informo che non potrò più rispondere alle domande pervenute e a quelle future. Invito comunque i lettori ad utilizzare l'articolo e tutto il blog come una piattaforma per scambiare opinioni ed informazioni più aggiornate, con la consapevolezza che io non potrò più intervenire in merito.

Concludo con un suggerimento per chi si vuole trasferire in Germania per lavoro. Dopo aver letto centinaia di commenti, sono ancora più convinto che, prima di recarsi in terra tedesca, una certa preparazione linguistica e culturale sia consigliabile. Io ho iniziato lavorando come volontario e assistente presso organizzazioni no-profit in Germania, e questo mi ha aiutato parecchio. Inoltre, prima di partire, ho studiato la lingua per 6 mesi e ho cercato di informarmi il più possibile su storia e cultura tedesca. Questo è il mio modesto consiglio (vi consiglierei anche di evitare i datori di lavoro italiani in Germania, soprattutto dopo aver letto alcuni commenti dei lettori di questo blog). Per il resto, viel Glück!

Vostro,
Dr.Egg

mercoledì 5 febbraio 2014

Perchè da noi sì e da loro no

A costo di apparire populista, vorrei dedicare questo articolo al recente caso dell'ex-presidente del principale ente previdenziale italiano, il quale, dopo garbati solleciti da più direzioni, ha ritenuto opportuno dimettersi dalla più importante delle ventidue cariche da lui detenute. Ciò che più mi ha impressionato della vicenda, simbolo del cronico poltronismo italiano, è il fatto che il personaggio in questione abbia ammesso di aver ottenuto la laurea accademica con l'inganno, grazie ad un malaffare orchestrato con la complicità di un bidello (sic). Malgrado questa macchia, che ha avuto anche ripercussioni giudiziarie, si ritiene tuttora degno di ricoprire le rimanenti 21 cariche, molte delle quali pubbliche.
Mi chiedo: perchè nessuno reagisce? É inevitabile effettuare paragoni con ciò che ho visto in Germania. Prendiamo ad esempio il caso Karl-Theodor zu Guttenberg, stella nascente della CDU e potenziale futuro premier, che nel 2011 si è dimesso da Ministro della Difesa per aver copiato alcune parti della sua tesi di laurea. Le sue dimissioni sono giunte dopo pressioni esercitate ovviamente dall'opposizione e dalla stampa, ma soprattutto dall'interno del sistema. Il messaggio che si è voluto veicolare è questo: le regole, in quanto tali, vanno rispettate, indipendentemente da chi le infrange. E tra le righe, altri due messaggi: 1) noi tedeschi non siamo così tolleranti come i mediterranei; 2) se non lo facciamo noi (politici), ci pensano i cittadini ed è molto peggio (per noi).
La corruzione e il carrierismo esistono anche in Germania, sarebbe da ipocriti negarlo. Eppure si cerca di limitarli, e quando questo accade è importante dare visibilità al fenomeno, al fine di dimostrare che il sistema non è marcio ed è ancora degno di credibilità.

Ma torniamo al caso italiano. Io ho ottenuto una laurea anni fa. Non me ne vanto, non l'ho incorniciata e appesa al muro, non faccio sapere al prossimo che mi è costata sacrifici e rinunce (non sarebbe vero: mi piace studiare ed imparare e se potessi studierei per il resto dei miei giorni). Ora la tengo nel cassetto, a volte l'ho persino usata per ragioni professionali. Punto.
Ciò che mi sconcerta nel caso dell'ex-presidente dell'INPS è il fatto che abbia barato. Non mi interessa che poi con quella laurea abbia fatto carriera. Mi infastidisce che non abbia rispettato le regole del gioco. Ho giocato molti anni a basket nella squadra universitaria. Perdevamo sempre (non ricordo di aver vinto neanche una partita), e non era piacevole, ma devo ammettere che non riuscivamo a vincere semplicemente perchè le altre squadre erano più forti. Nessun dramma, poi si andava a mangiare una pizza in compagnia. La sconfitta si può tollerare, ma quello che risulta inaccettabile è assistere all'infrazione sistematica delle regole, senza che vi sia alcuna sanzione. Posso perdere anche con uno scarto di 100 punti, ma non accetto che il mio avversario, invece di palleggiare, prenda a calci il pallone davanti ad un arbitro che non ha niente da obiettare. Ancora più inaccettabile è il fatto che il giocatore in questione, dopo aver commesso svariate infrazioni, invece di essere sanzionato con un fallo antisportivo, venga eletto giocatore dell'anno e riceva ingaggi milionari.

Cerco di capire: come mai in Italia non si verifica una sollevazione popolare di fronte a queste vicende? Provo a darmi una risposta: forse perchè facciamo anche noi parte del sistema di collusioni e clientelismo. Mi spiego meglio. Le società del nord Europa sono caratterizzate da individualismo, quelle del sud da familismo (quella italiana da familismo amorale). Per individualismo non si intende la connotazione morale del termine (egoismo), ma quella prettamente sociologica (individualizzazione della società e dei servizi: a Berlino il 50% dei cittadini è single).
Apro un giornale locale in Germania e trovo numerose offerte di lavoro nelle pagine degli annunci. Altrettante le trovo in internet, o nelle bacheche universitarie. Alcune richiedono delle referenze e abilità speciali. Benvenuti nel sistema meritocratico.
In Italia, nel mio quotidiano locale, la pagina dei necrologi è densa di inserzioni, ma di annunci di lavoro neanche l'ombra. Consulto internet e non trovo un granchè. L'informagiovani non mi aiuta più di tanto. A chi posso rivolgermi se voglio lavorare? Alla famiglia, o alle “conoscenze”. In questo caso merito e competenze non sono tanto importanti. Quello che conta è affiliarsi, mostrare riconoscenza, restituire favori. La conseguenza di questo sistema è che sarà poi difficile “alzare la testa”, una volta diventati ingranaggio di questi meccanismi. Non si può esigere il rispetto delle regole, quando si è costretti ad infrangerle. Ed è proprio questo che smorza qualsiasi tentativo di ribellione. Non è simpatico additare un colpevole, quando abbiamo un armadio pieno di scheletri.

Che fare allora? Non credo agli slogan “yes, we can” o “cambiare si può”. Un individuo, anche se motivato, ha un potere infinitamente inferiore rispetto a radicate forze sociali (nel nostro caso, il familismo amorale, leggasi: clientelismo diffuso e capillare). Più che cambiare le cose, sarebbe più idoneo concentrarsi su un'altra strategia: fare in modo che le cose cambino. Nel caso italiano, una strategia potenzialmente efficace consiste nel creare occupazione che richieda una tipologia di competenze specifiche (competenze linguistiche, informatiche, progettuali, capacità di viaggiare e coordinare gruppi). Lavoro nel settore interculturale e mi occupo di progetti finanziati dalle istituzioni europee. I tanti ragazzi che incontro in questo settore parlano diverse lingue straniere, viaggiano per aggiornarsi e creare nuove reti di lavoro, hanno familiarità con i social network e le nuove tecnologie, hanno idee brillanti che traducono in proposte progettuali, per le quali è necessario fare fund raisinig. Sarebbe veramente ridicolo se un consumato politico a fine carriera bussasse alla porta di una delle numerose associazioni create da questi giovani per “raccomandare” il nipote disoccupato (troglodita informatico, mono-glotta, più interessato a vestire alla moda che ad imparare a viaggiare da solo). Se si lavora con le nuove tecnologie, la mobilità internazionale, la formazione continua si ha la necessità di avvalersi di competenze che possono solo essere acquisite sul campo, con merito, entusiasmo, passione, conoscenza. É una strategia per spezzare le catene del clientelismo e tornare ad essere “lavoratori liberi". Perchè continuare a camminare a testa bassa, oltre ad essere umiliante, non ci permette di capire quanto sia bello il cielo.

giovedì 30 gennaio 2014

Mini-jobs

Poichè ricevo molte domande sui mini-jobs (alle quali purtroppo non posso fornire valide risposte, ma solo suggerimenti, visto che non ho mai lavorato con un contratto simile), pubblico in questo post un link ad un interessante articolo che ho trovato su internet:


Non mi trova pienamente d'accordo (si tratta di un'indagine spagnola sul sistema tedesco, sarebbe meglio sentire il parere dei tedeschi stessi sul tema) ma offre degli spunti di riflessione interessanti.
Da ciò che ho avuto modo di vedere, non me la sento di "maledire" i mini-jobs. La società tedesca mette a disposizione dei percorsi di formazione ed inserimento lavorativo piuttosto efficienti. Chi intende lavorare, far carriera, guadagnare, ha la libertà di mettersi alla prova e raggiungere questi obiettivi. Personalmente non ritengo che carriera, successo e super-lavoro siano valori ai quali dare priorità nella vita (nel futuro gli alieni, sbarcando sulla Terra, rideranno a crepapelle quando leggeranno astrusità come "repubblica fondata sul lavoro" o "il lavoro nobilita l'uomo", ma questa è un'altra storia). 
Reputo sia legittimo criticare, meglio se costruttivamente, il sistema dei mini-jobs (vedi relativo post sulla riforma del mercato del lavoro); tuttavia, come molti sottolineano, è meglio avere la possibilità di portare a casa mensilmente 450 euro che niente. Se poi questo sistema sta veramente creando il rischio di incrementare la povertà e il precariato, questo non so dirlo. Però penso spesso ad un mio amico marocchino, che nell'arco di dieci anni in Germania ha imparato la lingua tedesca, ha studiato all'università (e nel frattempo ha lavorato part-time per finanziare gli studi), ha svolto un tirocinio presso la radio-televisione pubblica tedesca ed è ora un giornalista, vive tra Bonn e Berlino e guadagna 4000 euro al mese, permettendosi un bell'appartamento con vista su Alexanderplatz. Ripeto: marocchino. Con o senza mini-jobs, vi invito a trovare casi simili in Italia. Evidentemente il sistema tedesco funziona. O sono le persone che lo fanno funzionare?